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Per Aspera Ad Veritatem n.28
La definizione di terrorismo internazionale e gli strumenti giuridici per contrastarlo.

Roberta BARBERINI




Nelle ultime decadi, un gran numero di strumenti giuridici in materia di terrorismo internazionale sono stati prodotti, con un’impennata della produzione normativa – tanto internazionale quanto nazionale – dopo i tragici eventi dell’11 settembre 2001.
Non che sia facile, in questo momento, produrre norme in questa materia, tanto più che già prima il fenomeno mal si prestava ad essere combattuto coi soli mezzi di contrasto del diritto penale: la storia non si presta facilmente ad essere compressa nelle aule di giustizia.
Vi è anzitutto l’escalation della minaccia.
L’azione terrorista può legarsi ora a qualsiasi possibile obiettivo, ideologia e fondamentalismo. In particolare, può legarsi indifferentemente ad un determinato territorio o nazione, e costituire il braccio armato di movimenti di liberazione nazionale, ovvero avere le caratteristiche di rete terroristica transnazionale, non solo islamica. Essa è, inoltre, ad altissimo livello di pericolosità: la potenza delle azioni terroristiche è, invero, aumentata a causa di una serie di condizioni, non ultimi la disponibilità dei terroristi a suicidarsi ed il progresso tecnologico.
Gli stati hanno – in tal modo – perso il monopolio della minaccia agli stati: la sfida proviene da individui e reti che agiscono a livello sub-statale e non territoriale, che utilizzano materiali e risorse che sfuggono al controllo- monopolio statale.
La mutazione ha riflessi di rilievo nel campo dell’intervento penale e non solo nel senso che è divenuta più difficile la circoscrizione tra la sfera dell’intervento militare e quella dell’intervento giudiziario.
È diventato arduo, ad esempio, individuare quale sia lo stato, o gli stati, legittimato a procedere contro i terroristi. Si sono fatti evanescenti i criteri di collegamento per l’esercizio della giurisdizione, che quando non scompaiono del tutto tendono a ridursi ad uno: quello della nazionalità delle vittime. Si fa strada, allo stesso tempo, la soluzione contraria: non si vuole, da parte di alcuni, che le vittime assumano contemporaneamente il ruolo dell’accusa, e si propone che forme di terrorismo le quali costituiscono minacce per l’intera umanità siano devolute a giurisdizioni sovranazionali.
Vi è, poi, il modo in cui la comunità internazionale ed i singoli stati hanno affrontato la questione della individuazione e della punizione dei colpevoli. È noto come l’emergenza abbia indotto alcuni stati, ed in particolare gli Stati Uniti, a cercare vie di cooperazione diverse da quelle tradizionali, soprattutto in materia d’estradizione, e come tale approccio abbia incontrato resistenze nei paesi europei, anche a causa della istituzione, negli USA, di tribunali speciali per i crimini di terrorismo. Già in precedenza, peraltro, la possibilità di applicare la pena di morte costituiva, non solo per l’Italia, ostacolo all’estradizione attiva verso gli USA.
Quanto alla comunità internazionale, essa ha risposto all’attacco massiccio del terrorismo in modo imponente ed efficace. Anche qui non sono mancate, tuttavia, le polemiche, vuoi legate all’organismo da cui promanano gli strumenti apprestati, vuoi legate alla rigidità di questi ultimi.
Sotto il primo profilo, si è lamentato che la reazione delle Nazioni Unite alla minaccia terroristica si sia fondata quasi esclusivamente su Risoluzioni del Consiglio di sicurezza: non sono pochi a ritenere che quest’ultimo, nel disporre in materia di terrorismo, abbia applicato in modo troppo estensivo il concetto di tutela della pace e della sicurezza mondiale, così operando una vera e propria invasione di campo ai danni della Assemblea Generale delle Nazioni Unite.
Sotto il secondo profilo, è stato soprattutto il sistema del congelamento dei beni dei terroristi – in particolare la redazione delle liste di terroristi da parte del Comitato sanzioni del Consiglio di sicurezza e del Consiglio dell’Unione europea – a suscitare rilievi. Le critiche investono in particolare l’automatismo del meccanismo del congelamento e l’impossibilità, per le autorità nazionali amministrative e giudiziarie, di compiere qualsivoglia valutazione sulla congruità dell’inserimento del soggetto nella lista.
Le prime difficoltà stanno sorgendo anche a livello nazionale, nel momento in cui la legislazione introdotta nel dicembre 2001 comincia ad entrare nella fase applicativa. Il concetto di ‘’associazione terroristica internazionale’’, in particolare, non ha ancora trovato una definitiva sistemazione: l’interpretazione di quel reato partorito dall’orrore dell’11 settembre divide i nostri tribunali, soprattutto per quanto riguarda l’elemento dello scopo terroristico, che per alcuni (1) deve esternarsi nel proposito serio e preciso di compiere atti di violenza determinati, mentre per altri (2) può avere carattere generico.




1. - Premessa
Il fenomeno del terrorismo, in aggiunta a questioni politiche, etiche, e di strategia militare, solleva numerose questioni di diritto, che spesso trovano il loro presupposto nella questione della definizione.
Il tema è antico, ma torna periodicamente d’attualità: dopo i tragici eventi dell’11 settembre molto si è dibattuto se tutti i Talebani, e non soltanto i militanti di Al Quaeda, dovessero considerarsi terroristi. Gli sviluppi del conflitto israelo-palestinese hanno spostato l’attenzione su altri importanti profili. Solo i più oltranzisti tra i paesi islamici, oramai, rifiutano di considerare atti di terrorismo gli attacchi contro civili operati dalle ‘bombe umane’ palestinesi, ma è significativo ricordare che fu proprio la qualificazione dei kamikaze palestinesi ad impedire ai paesi membri dell’Organizzazione della Conferenza Islamica – nell’aprile del 2003 – di accordarsi su di una definizione flessibile del fenomeno, idonea ad includere i palestinesi suicidi.
Sul piano del diritto internazionale, il punto è cruciale: dire che cosa si intenda per terrorismo significa stabilire i confini del fenomeno, con riferimento non solo ai reati comuni dello stesso tipo – omicidio, sequestro di persona ecc. – ma anche, e soprattutto, rispetto a condotte che il diritto internazionale considera o legittime o, comunque, disciplinate da strumenti internazionali diversi dalle convenzioni penali sul terrorismo e, segnatamente, dal diritto umanitario internazionale.
La questione della definizione di terrorismo costituisce, a ben vedere, il presupposto di qualsiasi analisi di diritto internazionale condotta in questo settore: ad esempio se gli atti di terrorismo siano in sé ‘illegali’ secondo il diritto internazionale, e su quali basi; in quali circostanze uno Stato – vittima possa legalmente rispondere con le armi ad atti di terrorismo e nei confronti di chi: terroristi individuali, stati che sostengono i terroristi ovvero che semplicemente li tollerano: tutto ciò che attiene, in generale, all’uso legittimo della forza in campo internazionale.
È, qui, coinvolta la delicatissima questione della giustificabilità degli atti di terrorismo, anche da un punto di vista strettamente penale: si pensi al rilievo della questione della motivazione politica della condotta ed alle conseguenze in tema di estradizione. Gli eventi dell’11 settembre hanno, d’altra parte, determinato l’accelerazione di un processo che era già in atto sul piano internazionale, e che si risolve nella caduta di una serie di barriere, in materia soprattutto di cooperazione giudiziaria e di diritto di asilo, nei confronti di chi venga considerato ‘terrorista’, e nell’applicazione di tutta una serie di sanzioni (congelamento dei beni, embargo ecc.) nei loro confronti. (3)
Va, infine, ricordato che l’armonizzazione delle legislazioni è momento fondamentale della lotta al crimine: le reti che operano a livello internazionale, con basi in diversi paesi, sfruttano i vuoti giuridici spesso derivanti dai limiti geografici delle indagini; inoltre, le differenze nella costruzione dei reati costituiscono un serio ostacolo alla cooperazione giudiziaria e di polizia: basti pensare al fatto che la doppia incriminabilità è considerata condizione indispensabile di molte forme di assistenza giudiziaria e di estradizione.
Astrattamente, non è difficile costruire una definizione di terrorismo. Essa dovrebbe includere tre elementi essenziali: a) violenza (attuale o minacciata); b) obiettivo ‘politico’ comunque concepito; c) ‘audience’ tipicamente anche se non esclusivamente vasta.
La definizione di ‘atto di terrorismo’ potrebbe, quindi, essere, più o meno, la seguente: “ minaccia o uso di violenza con l’intento di causare timore in un determinato gruppo di persone, al fine di conseguire un obiettivo politico”.
Questo è, in effetti, a grandi linee, lo schema seguito nelle legislazioni nazionali, rispetto alle quali, in ogni caso, la questione della definizione di terrorista, atto terroristico, finalità terroristica difficilmente costituisce un problema: a livello interno è facile intendersi, perché il parametro è costituito dai soggetti o organizzazioni che, in quel determinato momento storico, esercitano una minaccia qualificata contro quello stato. La questione sarà, nei casi concreti, risolta dagli interpreti. Questo è il motivo per cui i legislatori nazionali sovente non sentono neppure il bisogno di definire il fenomeno.
L’elemento della finalità politica è di indubbia essenzialità, perché consente di distinguere l’atto di terrorismo da analoghi reati comuni (ad esempio dagli omicidi di un serial killer). Tuttavia, è assai raro riscontrarne la presenza non solo in strumenti internazionali (convenzionali o no), ma neppure nelle legislazioni antiterrorismo nazionali.

2. - La Decisione quadro del Consiglio sulla lotta contro il terrorismo (4)
La Decisione quadro non fu emessa allo scopo di fornire una definizione di terrorismo, che servisse da modello per i paesi dell’Unione Europea: la finalità dello strumento era l’armonizzazione delle legislazioni nazionali, affinché le divergenze tra le normative non costituissero un ostacolo nella cooperazione giudiziaria e di polizia per reati di terrorismo. In qualche modo, tuttavia, può dirsi che l’Unione Europea si è – con questo strumento – indirettamente inserita nel dibattito sulla definizione di terrorismo.
La base giuridica della Decisione quadro è costituita dall’articolo 31 lettera e) (5) e dall’articolo 34, paragrafo 2, lettera b) (6) del Trattato sull’Unione Europea. Essa – come tutti gli strumenti di questo tipo – è ‘’vincolante per gli stati membri quanto al risultato da ottenere, salve restando la competenza delle autorità nazionali in merito alla forma e ai mezzi. (7)
Al momento in cui fu emesso il provvedimento, si riscontravano – in effetti – notevoli divergenze nelle legislazioni nazionali dei paesi membri, tuttora in parte esistenti: alcuni stati non hanno norme specifiche in materia di terrorismo e sanzionano gli atti terroristici come reati comuni; altri hanno leggi nelle quali i termini “terrorismo” o “terrorista” compaiono esplicitamente, senza definizion (8) . Tale è il caso della Germania e dell’Italia (ove, peraltro, si fa anche riferimento alla ‘’eversione dell’ordine democratico’’). In altri casi si utilizzano, per indicare il fenomeno terrorismo o la finalità terroristica, circonlocuzioni di vario tipo: il codice penale francese fa riferimento ad atti che turbano gravemente l’ordine pubblico con l’intimidazione o il terrore; il codice penale portoghese parla di pregiudizio agli interessi nazionali, di alterazione o sovvertimento del funzionamento delle istituzioni di Stato, di costrizioni nei confronti delle pubbliche autorità e di intimidazioni alle persone o alla popolazione. Il codice penale spagnolo, similmente a quelli francese e portoghese, allude alla finalità di sovvertire l’ordine costituzionale e di turbare gravemente la pace pubblica.
La legislazione del Regno Unito in materia, il Terrorism Act 2000, è probabilmente quella che affronta il tema in modo più esteso e sistematico. Il terrorismo vi è definito come un’azione o una minaccia d’azione mirata a “influire sul governo o a intimidire la popolazione o una parte di essa”, come “l’azione o la minaccia d’azione compiuta allo scopo di promuovere una causa politica, religiosa o ideologica”. Tale azione deve comportare “violenze gravi contro una persona”, “gravi danni ai beni” o determinare ‘’un grave rischio per la salute e la sicurezza della popolazione o di una parte della popolazione”. (9)
La Decisione quadro si applica a tutti i reati di terrorismo preparati o commessi all’interno dei confini dell’Unione Europea, indipendentemente dal loro obiettivo, compresi gli atti terroristici contro gli interessi di Stati che non sono membri dell’Unione Europea, ove compiuti sul territorio dell’Unione. Da questo punto di vista, la Decisione riflette pienamente l’impegno della Unione Europea nella lotta contro il terrorismo a livello mondiale, e non soltanto nel proprio limitato ambito.
Lo strumento – che non contiene solo articoli in tema di definizione di reati terroristici e sanzioni, ma anche disposizioni in materia di cooperazione giudiziaria, di scambio di informazioni, di protezione ed assistenza alle vittime – all’articolo 1 fornisce un ampio elenco di reati terroristici, imponendo agli Stati membri l’obbligo di garantire che essi siano siano puniti come tali. (10)
La maggior parte di tali condotte è già considerata come reato nei codici penali degli Stati membri, ma sovente, come detto, è considerata reato comune. La Decisione quadro impone che, quando tali condotte sono compiute intenzionalmente da un individuo o un’organizzazione contro uno o più paesi, le loro istituzioni o popolazioni (intendendo per popolazioni anche le minoranze) a scopo intimidatorio e al fine di sovvertire o distruggere le strutture politiche, economiche o sociali di tali paesi, tali reati siano considerati reati terroristici. Si è, in tal modo, con riferimenti testuali sia a legislazioni degli stati membri, sia a convenzioni internazionali, (11) tentato di offrire una definizione della cosiddetta ‘finalità politica’, elemento di indubbia essenzialità in questa materia, poiché consente appunto di distinguere l’atto di terrorismo da analoghi reati comuni.
Tra le condotte rilevanti figurano, anche se solo minacciate: l’omicidio; le lesioni personali gravi; i sequestri di persona; la cattura di ostaggi; le distruzioni di vasta portata di strutture pubbliche o private (ove potrebbero rientrare gli atti di violenza urbana), di infrastrutture, compresi i sistemi informatici, e mezzi di trasporto; la fabbricazione e fornitura di armi o esplosivi, comprese le armi atomiche, biologiche e chimiche; la diffusione di sostanze contaminanti; gli incendi, le inondazioni o esplosioni; l’interruzione della fornitura di acqua, energia o di altre risorse fondamentali.
Come si vede, sono prese in considerazione anche condotte, come quelle contro l’ambiente, meno violente di quelle che attentano direttamente alla vita ed alla integrità della persona, ma, tuttavia, potenzialmente altrettanto dannose.
L’articolo 2.2 prevede la punibilità delle condotte di direzione, partecipazione e finanziamento, in qualsiasi forma, di una organizzazion iterroristica.
Di essa si fornisce al comma 2,1 una definizione che riprende il testo dell’Azione comune 21 dicembre 1998 relativa alla incriminazione ed alla partecipazione ad una associazione criminale: organizzazione strutturata, di più di due persone, stabilita nel tempo, che agisce in modo concertato allo scopo di commettere dei reati terroristici. La formulazione di questo comma lascia agli Stati membri la facoltà di decidere come definire esattamente il reato di partecipazione ad organizzazione terroristica: non è facile, in effetti, fornire una definizione di associazione criminale valida per tutti i paesi europei: qui si trattava, invero, di armonizzare le legislazioni di paesi sia di civil law, cui è nota la figura della ‘association de malfaiteurs’, e paesi di common law, che non conoscono nei loro sistemi l’associazione per delinquere, ma solo la ‘conspiracy’, istituto che sta a metà strada tra l’associazione per delinquere ed il concorso di persone nel reato.
La Decisione quadro del Consiglio è strumento quanto mai opportuno, dal punto di vista della facilitazione della cooperazione giudiziaria e di polizia tra gli stati europei in materia di terrorismo, e si aggiunge ad altri importanti strumenti europei specificamente rivolti – talora in via esclusiva, talora assieme ad altri gravi reati – alla lotta al terrorismo. Vanno richiamati in particolare la Decisione quadro del Consiglio relativa alle squadre investigative comuni (13 giugno 2002); la convenzione Europol (12) , la cui competenza fin dal 3 dicembre 1998 si estende anche ai reati di terrorismo, ed all’interno della quale il 21 settembre 2001 è stata costituita una squadra specializzata in materia di lotta al terrorismo; la Decisione del Consiglio 28 febbraio 2002 relativa alla costituzione di Eurojust; la Decisione quadro del Consiglio relativa al mandato d’arresto europeo ed alle procedure di consegna tra Stati membri del 13 giugno 2002.
Tra gli strumenti preesistenti all’11 settembre, ma di rilievo nella lotta al terrorismo, vanno richiamate le convenzioni relative alla procedura semplificata di estradizione tra gli Stati membri dell’Unione Europea (10 marzo 1995) ed all’estradizione tra gli Stati membri dell’Unione Europea (27 settembre 1996), contenenti previsioni importanti, come l’irrilevanza della motivazione politica ai fini della decisione sulla richiesta, per reati di terrorismo.
Va inoltre ricordata l’azione comune del 21 dicembre 1998, relativa alla punibilità della partecipazione a un’organizzazione criminale negli Stati membri dell’Unione Europea, che affronta il tema dei reati di terrorismo, e l’azione comune del 15 ottobre 1996 sull’istituzione e l’aggiornamento costante di un repertorio di competenze, capacità e conoscenze specialistiche nel settore dell’antiterrorismo, per facilitare la cooperazione fra gli Stati membri nella lotta al terrorismo.
Vi è poi, naturalmente, la normativa su cui si fonda, nell’Unione, il sistema del congelamento dei beni dei terroristi e, in particolare, il Regolamento del Consiglio n. 2580/ 2001 (13) del 27 dicembre 2001 ed il Regolamento n. 881/2002/CE del 27 maggio 2002. (14)



La Decisione quadro sull’armonizzazione delle legislazioni nazionali in materia di terrorismo ben potrebbe servire da modello in una convenzione contro il terrorismo delle Nazioni Unite.
Né questa, né altre definizioni, tuttavia, sono state mai accettate in tale ambito.
Qui, in effetti, la difficoltà di definire il terrorismo è politica, non giuridica: a differenza di ciò che avviene in ambiti regionali ristretti, quali l’Unione Europea o il Consiglio d’Europa, invero, a livello universale non vi è omogeneità di principi giuridici e – soprattutto – di politiche nei confronti del fenomeno terroristico.
Quando le Nazioni Unite si posero per la prima volta il problema, negli anni ’70, il dibattito si incentrò sulla necessità stessa di avere una definizione di terrorismo.
Da un lato vi erano coloro che ritenevano che una risposta normativa ad una condotta proibita non poteva ragionevolmente essere offerta se non ci si accordava su quale condotta fosse realmente proibita.
Altri ritenevano che fosse meglio procedere pragmaticamente, dal momento che un accordo sulla definizione probabilmente non sarebbe stato mai trovato: in quegli anni, invero, in piena guerra fredda, era difficile trovare una definizione di terrorismo comune ai due blocchi.
Al tempo stesso, già all’epoca dovette prendersi atto del fatto che il costruire una definizione di terrorismo presentava aspetti di difficoltà tecnica non indifferenti.
Ciò fu subito evidente ai componenti del Comitato ad hoc sul terrorismo, istituito dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 1972.
L’elemento della finalità politica, ad esempio, appariva ai più essenziale. E tuttavia, alcuni obiettarono che il suo inserimento nella definizione di terrorismo l’avrebbe possibilmente resa insufficiente a contenere tutti i possibili significati del termine. Si fece riferimento ad alcuni gravissimi crimini diretti contro la libertà individuale e tuttavia non ispirati dalla motivazione politica, come la presa di ostaggi. (15)
All’interno del Comitato ad hoc, alcuni consideravano il terrorismo come caratterizzato da determinati tipi di condotta (16) ; altri ritenevano che fosse l’oggetto della condotta a distinguere il reato di terrorismo; altri la finalità dell’agente; altri, infine, ritenevano che le caratteristiche dell’agente dovessero essere considerate elemento tipico della condotta terroristica.
Ben presto alcuni stati sollevarono la questione del ‘terrorismo di stato’: dal punto di vista strettamente giuridico, solo l’individuo può naturalmente essere giudicato ‘terrorista’. Tuttavia, non è mancato, nella storia delle Nazioni Unite, chi ha fatto riferimento ad una nozione giuridica di terrorismo di stato: talora il termine è stato utilizzato con riferimento a stati che finanziano, addestrano o anche semplicemente incoraggiano i terroristi; talora, invece, l’espressione ‘terrorismo di stato’ fu utilizzata semplicemente per stigmatizzare certe azioni, quali una certa politica coloniale, o l’invasione di altri stati. (17)
Ci si chiese, ulteriormente, se per essere considerato terrorista un individuo debba agire su spinta ideologica, ovvero se anche un mercenario – per esempio – possa essere ritenuto tale.
Le divergenze, all’interno del Comitato ad hoc, furono tali che nel rapporto all’Assemblea Generale, nel 1979, esso evitò ogni tentativo di offrire una definizione del fenomeno.

3. - Terrorismo e lotte di liberazione nazionale
In effetti, deve riconoscersi che il mondo non concorda per nulla su chi debba considerarsi terrorista e chi no.
Le divergenze non investono solo i casi-limite, ciò le organizzazioni la cui attività è al limite tra sovversione ed estremismo politico legale, e le cd. “umbrella organisations”, che pur operando legittimamente a livello politico – contengono al loro interno o sono strettamente collegate ad organizzazioni di dichiarata matrice terroristica.
Il punto focale è, in realtà, costituito dalla qualificazione delle condotte poste in essere nel quadro delle lotte di liberazione nazionale.
Se gli stati occidentali erano preoccupati che una definizione di terrorismo potesse essere utilizzata per includervi il ‘terrorismo di stato’, il terzo mondo non ha mai voluto accettare una definizione che – enfatizzando il ruolo di attori non statuali – non facesse differenze tra terrorismo in senso proprio e lotte di liberazione nazionale.
In linea generale, il diritto internazionale considera le lotte di liberazione nazionale legittime o, quantomeno, disciplinate da strumenti internazionali diversi da quelli penali, quali quelli rientranti nel diritto umanitario internazionale. Il formale riconoscimento, nella Carta delle Nazioni Unite, (articolo 1 par.2) del diritto dei popoli alla propria autodeterminazione costituisce il punto di riferimento fondamentale, ma vanno in proposito anche richiamate le Convenzioni di Ginevra del 1949, ed i due Protocolli addizionali del 1977.
Proprio in forza della legittimazione offerta dalla Carta, il tema della differenza tra atti di terrorismo e lotta per l’autodeterminazione o per la liberazione da regimi oppressori, coloniali e razzisti fu ben presto portato all’attenzione delle Nazioni Unite dai paesi del terzo mondo, ottenendo – all’epoca – sostanziali riconoscimenti di principio: l’importante Risoluzione della Assemblea Generale n. 46/51 del 9 dicembre 1991, al paragrafo n. 15, sottolinea la sostanziale differenza tra terrorismo e diritto dei popoli, in particolare di quelli soggetti a regimi coloniali e razzisti, a lottare per l’autodeterminazione, la libertà e l’indipendenza. Nella Convenzione contro la presa d’ostaggi del 1979, all’articolo 12, le condotte poste in essere da chi lotta per la propria indipendenza furono, addirittura, espressamente escluse dal campo di applicazione della convenzione.
Già all’epoca, tuttavia, si stava, parallelamente affermando il principio che nessuna protezione potesse essere riconosciuta dal diritto internazionale a coloro che, come i terroristi, violavano regole di condotta internazionalmente riconosciute e che, anzi, la reazione fosse, nei loro confronti, legittima.
Fu dopo il raid in Libia del 14 aprile 1986 che gli Stati Uniti – chiamati a giustificare la violazione del territorio di uno Stato sovrano – sostennero, per la prima volta nella storia del diritto internazionale, che l’attacco perpetrato da individui od organizzazioni terroristiche (18) – e non, pertanto, da un altro stato – poteva fondare l’esercizio del diritto di autodifesa (articolo 51 della Carta) e, pertanto, quello del ricorso all’uso della forza, da parte dello stato attaccato.
La reazione statunitense fu, all’epoca, condannata, ma suscitò una quantità di questioni di diritto internazionale: se gli atti di terrorismo siano in sé ‘illegali’ secondo il diritto internazionale, e su quali basi; in quali circostanze uno Stato – vittima possa legalmente rispondere con le armi ad atti di terrorismo e nei confronti di chi: terroristi individuali, stati che sostengono i terroristi ovvero che semplicemente li tollerano: tutto ciò che attiene, in generale, all’uso legittimo della forza in campo internazionale.
La questione è come noto aperta tuttora, ed esula dalla presente trattazione. Qui basti ricordare che la prima volta in cui le Nazioni Unite affrontarono esplicitamente la questione degli stati sostenitori di terroristi fu nel caso Lockerbie: il Consiglio di Sicurezza (19) affermò che gli stati che sostengono terroristi violano l’articolo 2.4 della Carta, (20) e che, pertanto, la reazione nei loro confronti si qualifica come legittima difesa.
Ciò che rileva, ai fini di questa analisi, è che dagli anni ottanta in poi vi è stata una graduale affermazione del principio che gli atti di terrorismo sono di per sé illegittimi sotto il diritto internazionale. A ciò corrispose la graduale accettazione di tale principio da parte dell’opinione pubblica. Quella occidentale, in particolare, è stata certamente influenzata, in tal senso, dall’evoluzione del conflitto mediorientale: gli attacchi contro civili da parte dei palestinesi sempre più sono stati sentiti come ingiustificabili, anche da chi prima considerava le azioni dei palestinesi come legittime azioni di lotta contro l’oppressione straniera.
Di tale mutata sensibilità si ha evidente riscontro nelle Risoluzioni dell’Assemblea Generale.
Sempre più labili, in effetti, sono divenuti i riferimenti al tema, mano a mano che il terrorismo assumeva le caratteristiche di minaccia sul piano internazionale.
Ad una lettura delle Risoluzioni contro il terrorismo della Assemblea Generale, dal ’91 ad oggi, può riscontrarsi come l’aspetto di danno e pericolo per la sicurezza della comunità mondiale derivante dal terrorismo sia decisamente enfatizzato rispetto al riconoscimento del principio, (pur ribadito con forza dalle Nazioni Unite in altri settori di intervento), del diritto irrinunciabile dei popoli ad affrancarsi da regimi oppressori. Viene, allo stesso tempo, affermato con forza che gli atti di terrorismo sono ingiustificabili da chiunque commessi, e qualunque sia la motivazione, ideologica, religiosa o altro dell’autore.
Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha unito la sua voce a quella della Assemblea Generale con un vigore ed un linguaggio mai uguagliati in precedenza: basti pensare alle Risoluzioni 1267 del 1999 e 1333 del 2000, dirette contro bin Laden, Al Quaeda ed i Talebani, ed le Risoluzioni 1373 e 1377 del 2001, nonché 1390 del 2002.
Nelle Risoluzioni successive all’11 settembre, il principio della ingiustificabilità degli atti di terrorismo è affermato oramai in modo perentorio (21) : qualsiasi affermazione del principio che alcune azioni terroriste possono trovare giustificazione in forza delle motivazioni che le hanno ispirate urta oramai fortemente contro la sensibilità della comunità internazionale.

4. - Il tema delle lotte di liberazione nazionale nelle Convenzioni Nazioni Unite (22)
Non meraviglierà, dopo quanto esposto, che fino a questo momento nessuna definizione di terrorismo sia stata accettata in un trattato delle Nazioni Unite o in trattati multilaterali ad ampia applicazione.
L’unico trattato multilaterale che contenga una definizione di terrorismo è la Convenzione contro il terrorismo della Organizzazione della Conferenza Islamica del 1999, dove le lotte di liberazione sono espressamente escluse dall’ambito della definizione. È ben vero che, nella Convenzione contro la presa d’ostaggi delle Nazioni Unite, fu introdotto un elemento definitorio ‘a contrario’, perché le condotte poste in essere da chi lotta per la propria indipendenza sono espressamente escluse dal campo di applicazione della convenzione. Tuttavia, si tratta di una disposizione introdotta nel 1979 e mai rinnovata in trattati successivi.
Si è detto della essenzialità, in una astratta definizione di terrorismo, dell’elemento dell’obiettivo politico’, comunque concepito.
Tuttavia, se già è raro riscontrarne la presenza in strumenti internazionali non convenzionali, mai si fa riferimento alla finalità politica in trattati delle Nazioni Unite in materia di terrorismo: delle dodici convenzioni finora adottate, dieci non contengono neppure la parola ‘terrorismo’, e due (le più recenti) la riportano solo nel titolo, e non nel testo. In undici non è indicata espressamente alcuna finalità, grazie anche al fatto che la finalità terroristica poteva considerarsi implicita in relazione alla condotta presa in considerazione: presa di ostaggi, dirottamento di aereo, collocazione di bombe in luogo di pubblico transito ecc.. Nella Convenzione contro il finanziamento del terrorismo, dove era, invece, necessario inserire qualche elemento tipizzante, per definire la finalità terroristica si utilizzarono circonlocuzioni, evitandosi di menzionare espressamente obiettivi politici o di eversione (23) .
La totale disparità di vedute su che cosa debba intendersi per terrorismo, divenne evidente nel negoziato della Convenzione per la soppressione del terrorismo dinamitardo del 1997. Qui per la prima volta, in una convenzione delle Nazioni Unite contro il terrorismo, fu stabilito che le condotte incluse in convenzione non avrebbero potuto mai considerarsi come politiche, ai fini del diniego della richiesta di estradizione (articolo 11). Ciò, peraltro, corrispondeva ad una tendenza oramai da tempo in atto in strumenti internazionali.
La vera novità, in una convenzione di tipo penale, era invece costituita dall’articolo 19, in base al quale le attività delle forze armate militari di uno stato erano escluse dal campo di applicazione della convenzione sia durante un conflitto armato sia ‘’nell’esercizio dei doveri’’ del militare.
Il principio, in sé, non era nuovo, costituendo il corrispettivo delle disposizioni il materia di ‘legittimo combattente’ contenute in strumenti del diritto umanitario. La novità era costruita dall’inserimento in una
convenzione penale, e dalla costruzione del principio come ‘esenzione’ dal campo di applicazione della convenzione per una determinata categoria di individui.
La mancanza di una parallela, espressa esclusione per i combattenti in lotte di liberazione indusse nei paesi islamici la convinzione che la disposizione fosse stata costruita per giustificare il ‘’terrorismo di Stato’’ di Israele e per sanzionare, invece, le condotte analoghe poste in essere dai palestinesi.
All’epoca, la disposizione fu, dopo estenuante negoziato, accettata dai paesi islamici, e la convenzione fu adottata ed è ora in vigore. Nella successiva Convenzione per la soppressione del finanziamento del terrorismo, del 1999, la questione fu sopita, perché la condotta presa in considerazione non era tipica delle forze armate di uno stato, ufficiali o non.

5. - Il tema delle lotte di liberazione nel progetto di Convenzione globale contro il terrorismo
La questione è, invece, riesplosa nel negoziato della Convenzione globale contro il terrorismo. (24) Benchè la convenzione si trovi attualmente in una fase di stallo forse senza soluzione – quantomeno in tempi brevi – sembra utile, per una migliore comprensione del tema, richiamare alcuni punti nodali del negoziato, concernenti appunto la questione della definizione. I proponenti indiani omisero, nella redazione del progetto, ogni riferimento testuale a definizioni di terrorismo, lasciando libero spazio a proposte di emendamento sul tema. L’obiettivo politico che i paesi islamici specificamente si prefiggono in questo momento non è celato: se già nelle passate convenzioni veniva lamentato che esse non si applicassero al ‘’terrorismo di stato’’ posto in essere da Israele, ora la posta in gioco è la legittimazione dell’Intifada come resistenza legittima all’occupazione israeliana.
Nel negoziato della Convenzione globale, le proposte testuali dei paesi islamici riflettono precisamente tale obiettivo. È naturale che tali proposte si scontrino con la posizione che gli occidentali hanno, d’altronde, sempre tenuto in materia.

6. - L’articolo 18 della Convenzione globale contro il terrorismo
Al fine di escludere espressamente dal campo di applicazione della convenzione i ‘’combattenti contro l’occupazione straniera’’, i paesi islamici hanno, nel negoziato, preferito proporre l’emendamento dell’’articolo 18 del progetto indiano, piuttosto che tentare la via più ardua della introduzione di una definizione di terrorismo che non contempli tale categoria di combattenti.
L’articolo 18, comma 2 del progetto indiano, nella attuale formulazione è identico all’articolo 19 della Convenzione contro il terrorismo a mezzo esplosivi, e stabilisce che: “La convenzione non si applica a quelle attività compiute dalle forze armate durante un conflitto armato che sono disciplinate dal diritto internazionale umanitario, intese le espressioni ‘forze armate’ e ’conflitto armato’ nel modo in cui sono intese nel diritto internazionale umanitario stesso…”.
I paesi aderenti all’Organizzazione della Conferenza Islamica intenderebbero aggiungere nel comma 2 una espressa menzione ai combattenti contro l’occupazione straniera.
Gli occidentali hanno un forte argomento, già utilizzato durante il negoziato della Convenzione contro il terrorismo dinamitardo, contro tale proposta: quest’ultima è inutile, in quanto le condotte dei movimenti e dei popoli che lottano per l’autodeterminazione sono già escluse dall’ambito di applicazione della Convenzione globale, sulla base della attuale formulazione dell’articolo 18.
La ratio dell’articolo 18, infatti, è quella di stabilire una demarcazione tra l’ambito di applicazione della Convenzione globale da un lato e del diritto internazionale umanitario dall’altro: la Convenzione contro il terrorismo non si applica a quelle categorie che il diritto internazionale umanitario definisce come ‘forze armate’ nel corso di un ‘conflitto armato’.
I trattati contro il terrorismo contemplano un certo numero di condotte normalmente poste in essere in tempo di pace, quali la presa di ostaggi, il dirottamento aereo ecc. Atti di terrorismo, tuttavia, possono essere commessi altrettanto facilmente in stato di guerra, interna o internazionale. Di conseguenza, un certo numero di trattati multilaterali, di cui i principali sono le Convenzioni di Ginevra del 1949, ed i due Protocolli addizionali del 1977, contengono disposizioni che bandiscono in tempo di guerra condotte riconducibili alla nozione di ‘terrorismo’.
L’articolo 3 delle Convenzioni di Ginevra, ad esempio, proibisce certi atti contro “persone che non hanno parte attiva nelle ostilità”, durante un conflitto armato a carattere internazionale. Tra questi atti sono contemplati la violenza contro la persona, in particolare l’omicidio, la mutilazione, la tortura, trattamenti umilianti e degradanti. Il secondo Protocollo vieta al combattente condotte rivolte ‘’contro la popolazione civile come tale…’’ e consistenti in ‘’atti di violenza il cui fine primario è spargere il terrore nella popolazione civile’’ (articolo 51.2). Il terzo Protocollo, poi, espressamente proibisce gli ‘’atti di terrorismo’’ (articolo 4.2).
L’articolo 18 costituisce il corrispettivo di tali disposizioni e vale, pertanto, a ribadire un criterio, quello della demarcazione fra diversi ambiti, già precedentemente affermato.
La disposizione rinvia alle definizioni elaborate dal diritto internazionale umanitario con riferimento non solo alle “attività” cui la convenzione non si applica, ma anche ai soggetti di tali attività, e cioè gli appartenenti alle forze armate durante un conflitto armato.
Rilevano soprattutto, in proposito, i due Protocolli addizionali alle Convenzioni di Ginevra del 12 agosto 1949, già richiamati. Il primo (25) all’articolo 43 qualifica come “forze armate” tutti i gruppi ed unità organizzati subordinati ad un capo, anche se essi rappresentano un governo o un’autorità non riconosciuta dalla Parte avversa. Il secondo (26) , all’articolo 1, estende la nozione di legittimo combattente alle “forze armate dissidenti ed ai gruppi armati organizzati” che, sotto comando, esercitano il controllo di una parte del territorio della Parte avversa, e sempre che non si tratti di atti isolati e sporadici di violenza. Nello Statuto della Corte Penale Internazionale (27) , poi, possono indirettamente rinvenirsi ulteriori estensioni della nozione generale di legittimo belligerante.
Da questa analisi emerge, quindi, che l’esimente prevista dall’articolo 18 va estesa, per rinvio, alle condotte di tutti quei gruppi armati o movimenti diversi dalle forze armate regolari di uno stato, che rispondono ai requisiti sopra delineati, e ad altri eventualmente ricavabili dal diritto umanitario.
La formulazione dell’articolo 18 ben riflette due principi: da un lato che l’esimente, dal punto di vista dei soggetti, si applica solo agli individui od organizzazioni che rientrano nella nozione di legittimo combattente, ai sensi del diritto internazionale umanitario, e non ad altri. Dall’altro lato che tali soggetti sono esclusi dall’applicazione della Convenzione solo nella misura esatta in cui ad essi si applica il diritto internazionale umanitario: solo, pertanto, se la condotta del combattente si mantiene nelle sue tipiche manifestazioni, e non se consiste in atti di terrorismo contro la popolazione civile, aventi le caratteristiche sopra delineate.
Se si tiene conto che gli occidentali, in spirito di compromesso, si erano dichiarati disponibili a rendere esplicito il criterio della parificazione tra forze armate regolari e gruppi armati combattenti, estendendo l’esenzione prevista per le forze armate ai ‘parties to a conflict’ e che, inoltre, fu l’Unione Europea a proporre di inserire nell’art. 18 un espresso riferimento al principio di autodeterminazione dei popoli, quale riconosciuto nella Carta delle Nazioni Unite, si comprende la resistenza ad accogliere le richieste degli islamici.
Invero, l’espressa esclusione di chi combatte contro l’occupazione straniera, e di nessuna altra categoria di combattente, da un lato avrebbe introdotto una ulteriore distinzione nell’ambito della stessa categoria delle forze armate ed equiparati, dall’altro sarebbe stata troppo chiaramente e provocatoriamente riferita ad un solo tipo di lotta armata, quella palestinese, per poter essere accettata (28) .



La convergenza, in una delle prossime sessioni della Convenzione globale sul terrorismo, su una definizione di terrorismo per tutti accettabile, è obiettivo importante: la lotta contro il terrorismo ha bisogno di condivisione degli obiettivi e di una base il più possibile allargata. La felice conclusione di una convenzione contro il terrorismo delle Nazioni Unite servirebbe, da questo punto di vista, a riaffermare l’ampiezza della coalizione globale contro il fenomeno, riportando allo stesso tempo il tema nell’alveo dell’Assemblea Generale.
Sotto diverso punto di vista, concludere l’ultima – e la più difficile – delle convenzioni delle Nazioni Unite contro il terrorismo varrebbe in qualche modo a ricondurre il tema del terrorismo all’ambito del diritto, cui indubbiamente in gran parte appartiene, trattandosi di un fenomeno politico, ma anche – in larga misura – criminale.
Il momento storico induce purtroppo ad essere pessimisti, al di là di ogni possibile compromesso.
Per quanto si è detto finora, in effetti, inserire in uno strumento normativo – interno o internazionale – una definizione di terrorismo ha un senso solo se la definizione è utile per delimitare i confini del fenomeno rispetto a condotte legittime o comunque disciplinate da fonti diverse del diritto penale, militare o internazionale umanitario. Tale esigenza, con riferimento al diritto internazionale umanitario, sarebbe perfettamente soddisfatta da un generico richiamo a tale fonte in seno alle convenzioni contro il terrorismo (29) , sempre che la delimitazione dei rispettivi confini non sia, per quanto si è diffusamente detto, da considerarsi implicita.
I paesi arabi, tuttavia, difficilmente accetteranno una definizione di terrorismo che – attraverso l’esclusione dei combattenti contro l’occupazione straniera – non legittimi in qualche modo l’Intifada come forma legale di combattimento.
Da parte nostra, invece, non possiamo cadere nella trappola della relatività della nozione di terrorismo: il fatto che fenomeno si presti a diversità di vedute, anche per la sopravvivenza di zone grigie, non deve far dimenticare che a noi occidentali, almeno, spetta affermare senza esitazioni che tutti gli atti di terrorismo non sono martirio, testimonianze di fede, non sono lotta di liberazione nazionale. Sono terrorismo. Sono delitti




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Bruxelles, 25 marzo 2004


DICHIARAZIONE SULLA LOTTA AL TERRORISMO


Introduzione
Profondamente sconvolto dagli attentati terroristici di Madrid, il Consiglio europeo esprime cordoglio e solidarietà alle vittime, alle loro famiglie e al popolo spagnolo. Gli attentati vili e spietati hanno tragicamente riportato alla mente la minaccia che il terrorismo rappresenta per la nostra società. Gli atti terroristici rappresentano un attacco contro i valori su cui si fonda l'Unione. L'Unione e i suoi Stati membri si impegnano a fare quanto in loro potere per combattere il terrorismo in tutte le sue forme secondo i principi fondamentali dell'Unione, le disposizioni della Carta delle Nazioni Unite e gli obblighi sanciti nella risoluzione 1373 del 2001 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. La minaccia del terrorismo incombe su noi tutti. Un atto terroristico contro un paese riguarda la comunità internazionale nel suo insieme. Non vi saranno cedimenti né compromessi di nessun tipo nei confronti dei terroristi. Nessun paese al mondo può considerarsi immune dalla minaccia. Il terrorismo sarà sconfitto soltanto con la solidarietà e l'azione collettiva. Il Consiglio europeo fa propria la proposta del Parlamento europeo di dichiarare l'11 marzo giornata europea di commemorazione delle vittime del terrorismo.

Clausola di solidarietà
Il Consiglio europeo accoglie con favore l'impegno politico che gli Stati membri e gli Stati aderenti hanno assunto fin d'ora di agire congiuntamente contro gli atti terroristici, ispirandosi alla clausola di solidarietà sancita nell'articolo 42 del progetto di Costituzione per l'Europa. In appresso figura una dichiarazione separata.

Strategia in materia di sicurezza
La strategia europea in materia di sicurezza, adottata dal Consiglio europeo del dicembre scorso, ha individuato nel terrorismo una delle minacce fondamentali per gli interessi dell'UE ed ha invitato la Presidenza e il Segretario generale/Alto Rappresentante Javier Solana, in coordinamento con la Commissione, a presentare proposte concrete per l'attuazione della strategia, ivi comprese raccomandazioni per combattere la minaccia che rappresenta il terrorismo e affrontare le cause che ne sono all'origine. Sulla scorta degli eventi di Madrid il Consiglio europeo ritiene urgente la piena attuazione delle misure antiterrorismo. Il Consiglio europeo esorta a definire una strategia a lungo termine dell'UE per affrontare tutti i fattori che favoriscono il terrorismo. Come il Consiglio europeo ha affermato nelle conclusioni della riunione del 21 settembre 2001, l'Unione deve partecipare più attivamente agli sforzi della comunità internazionale per prevenire e stabilizzare i conflitti regionali, nonché promuovere il buon governo e lo Stato di diritto. Il Consiglio europeo esorta inoltre a portare rapidamente avanti i lavori per mettere a punto il contributo della PESD alla lotta contro il terrorismo, sulla scorta della azioni intraprese dopo il Consiglio europeo di Siviglia. L'Unione europea cercherà soluzioni per migliorare la sicurezza dei suoi cittadini che soggiornano o viaggiano in paesi terzi e sono esposti a una minaccia terroristica.

Assistenza alle vittime
Il Consiglio europeo esorta ad adottare, anteriormente al 1° maggio 2004, la direttiva del Consiglio relativa al risarcimento delle vittime di reato. Il Consiglio europeo invita la Commissione ad assicurare in via d'urgenza l'attribuzione dei fondi disponibili nel bilancio 2004 per il sostegno alle vittime del terrorismo.

Sviluppare la cooperazione esistente
Nella riunione del 21 settembre 2001 il Consiglio europeo ha adottato il piano d'azione per la lotta contro il terrorismo, successivamente integrato da numerose importanti iniziative. Per combattere in modo efficace il terrorismo è necessario che le misure adottate dal Consiglio siano attuate dagli Stati membri in maniera completa ed efficace.
a) Misure legislative Il Consiglio europeo riconosce che il quadro legislativo istituito dall'Unione al fine di combattere il terrorismo e di migliorare la cooperazione giudiziaria ha un ruolo decisivo da svolgere nella lotta contro le attività terroristiche. Esso esorta tutti gli Stati membri a adottare tutte le misure ancora necessarie per attuare pienamente e senza indugio le seguenti misure legislative: decisione quadro relativa al mandato d'arresto europeo; decisione quadro relativa alle squadre investigative comuni; decisione quadro sulla lotta al terrorismo; decisione quadro concernente il riciclaggio di denaro, l'individuazione, il rintracciamento, il congelamento o sequestro e la confisca degli strumenti e dei proventi di reato; decisione che istituisce l'Eurojust decisione relativa all'applicazione di misure specifiche di cooperazione di polizia e giudiziaria per la lotta al terrorismo.
Le misure di questo tipo dovrebbero essere istituite entro il giugno 2004.
Il Consiglio europeo invita gli Stati membri ad attuare la decisione quadro relativa all'esecuzione dei provvedimenti di blocco dei beni o di sequestro probatorio e a ratificare la convenzione relativa all'assistenza giudiziaria in materia penale, il relativo protocollo e i tre protocolli della convenzione Europol entro il dicembre 2004.
Inoltre, la decisione quadro relativa alla confisca di beni, strumenti e proventi di reato e la decisione quadro relativa agli attacchi contro i sistemi di informazione dovrebbero essere messe a punto entro giugno 2004. I lavori concernenti la decisione quadro relativa al reciproco riconoscimento delle decisioni di confisca si dovrebbero parimenti concludere entro giugno 2004 e si dovrebbero proseguire i lavori concernenti la decisione quadro relativa al mandato europeo di ricerca delle prove.
Il Consiglio europeo, nella prospettiva dell'ulteriore sviluppo del quadro legislativo suesposto, dà mandato al Consiglio di esaminare le misure nei seguenti settori: proposte relative all'istituzione di norme sulla conservazione dei dati relativi al traffico delle comunicazioni da parte dei prestatori di servizi; scambio di informazioni relative alle condanne per i reati di terrorismo; . inseguimento in flagranza oltre frontiera; registro europeo delle condanne e delle interdizioni; banca dati su materiale forense; semplificazione dello scambio di informazioni e di intelligence tra le autorità degli Stati membri incaricate dell'applicazione della legge.
Occorrerebbe attribuire priorità alle proposte riguardanti la conservazione dei dati relativi al traffico delle comunicazioni e lo scambio d'informazioni sulle condanne, affinché possano essere adottate entro il giugno 2005.
Gli Stati membri ribadiscono il loro impegno a rafforzare la cooperazione giudiziaria. Essi sono invitati ad assicurare l'esecuzione di qualsiasi richiesta di assistenza giudiziaria reciproca in relazione ai reati di terrorismo e a fornirsi l'un l'altro la massima cooperazione.
S'invita la Commissione a presentare una proposta per la creazione di un programma europeo di protezione dei testimoni nei casi di terrorismo.
b) Rafforzamento della cooperazione operativa
Il Consiglio europeo invita gli Stati membri a far sì che le autorità incaricate dell'applicazione della legge (servizi di sicurezza, polizia, dogana, ecc.) cooperino tra di loro e si scambino tutte le informazioni pertinenti per combattere il terrorismo nel modo più ampio possibile.
Il Consiglio europeo esorta gli Stati membri ad assicurare che gli attuali organi dell’UE, segnatamente l’Europol e l’Eurojust, siano utilizzati in modo ottimale e con la massima efficienza al fine di promuovere la cooperazione nella lotta contro il terrorismo. Invita gli Stati membri a garantire che: i corrispondenti nazionali dell’Eurojust in materia di lotta al terrorismo siano designati da tutti gli Stati membri e che l’Eurojust sia utilizzata al massimo grado ai fini della cooperazione nei casi di terrorismo transfrontaliero; i rappresentanti dell’Europol e dell’Eurojust siano associati, nella misura del possibile, ai lavori delle squadre investigative comuni; l’accordo Europol/Eurojust sia adottato entro maggio 2004.
Il Consiglio europeo invita inoltre gli Stati membri a potenziare il ruolo dell'Europol nella lotta al terrorismo: rafforzandone le capacità antiterrorismo e riattivando la Task Force antiterrorismo; provvedendo a che le loro autorità incaricate dell'applicazione della legge trasmettano all'Europol tutte le pertinenti informazioni sulla criminalità in materia di terrorismo non appena ne vengano a conoscenza.
Il Consiglio europeo invita l'Europol ad implementare al più presto il sistema di informazione Europol.
Inoltre, il Consiglio europeo sottolinea il ruolo della Task Force dei capi di polizia nel coordinare le misure operative per rispondere e prevenire attentati terroristici. Il Consiglio europeo invita la Task Force ad esaminare come rafforzare la sua capacità operativa e a concentrarsi su un’intelligence proattiva. S'invita la Task Force a redigere, con l'ausilio di esperti dei servizi d'informazione e dell'Europol, un rapporto sugli attentati terroristici di Madrid.
Il Consiglio europeo invita il Consiglio ad esaminare entro il settembre 2004 una relazione intermedia sui risultati del processo di valutazione a pari livello dei dispositivi nazionali di lotta al terrorismo ed, entro il settembre 2005, una relazione finale che contempli gli Stati aderenti.
Il Consiglio europeo, allo scopo di proseguire questa cooperazione, incarica inoltre il Consiglio d'istituire nuove strutture di comitato in grado di assicurare una maggiore cooperazione operativa sulla sicurezza e sul terrorismo nell’ambito dell’Unione.
Il Consiglio europeo riconosce la necessità di assicurare che le organizzazioni e i gruppi terroristici siano privati degli strumenti per svolgere la loro attività. Sussiste in particolare l’esigenza di garantire una maggiore sicurezza delle armi da fuoco, degli esplosivi, delle attrezzature per fabbricare bombe nonché delle tecnologie che contribuiscono a perpetrare atti terroristici. Incarica il Consiglio di esaminare i margini per l'adozione di misure in questo settore.
c) Massimizzare l’efficienza dei sistemi di informazione
Il Consiglio europeo invita il Consiglio ad adottare le misure necessarie a fare in modo che il progetto di regolamento del Consiglio e il progetto di decisione relativi all’introduzione di nuove funzioni del sistema d'informazione Schengen (SIS) entrino in vigore entro giugno 2004.
Entro maggio 2004 dovrebbero essere prese decisioni sull'ubicazione, la gestione e il finanziamento del SIS II, affinché la Commissione possa portarne avanti il pieno sviluppo. Si esortano la Commissione e il Consiglio a proseguire i lavori sul sistema d'informazione visti (VIS) in linea con le conclusioni adottate nel febbraio 2004. Il Consiglio europeo invita la Commissione a presentare proposte per migliorare l'interoperabilità fra le varie basi di dati europee e a vagliare la possibilità di sinergie fra i sistemi d'informazione attuali e futuri (SIS II, VIS ed EURODAC) per sfruttarne il valore aggiunto, nel rispettivo ambito giuridico e tecnico, ai fini della prevenzione e del contrasto del terrorismo.
Il Consiglio europeo invita la Commissione a presentare proposte al Consiglio europeo di giugno riguardo allo scambio di informazioni personali (DNA, impronte digitali e dati sui visti) al fine di combattere il terrorismo. Le proposte della Commissione dovrebbero includere anche disposizioni che permettano alle autorità nazionali incaricate dell'applicazione della legge di accedere ai sistemi dell'UE.
Si invita inoltre il Consiglio a valutare i criteri da applicare ai fini dell'articolo 96 della convenzione di Schengen per quanto riguarda determinate persone segnalate ai fini della non ammissione.
Rafforzare i controlli alle frontiere e la sicurezza dei documenti
Il miglioramento dei controlli alle frontiere e della sicurezza dei documenti svolge un ruolo determinante nel combattere il terrorismo. Il Consiglio europeo sottolinea pertanto che i lavori relativi alle misure in questo settore devono essere accelerati. Saranno portati avanti in particolare i lavori riguardanti: la proposta di regolamento relativo all'istituzione di un'Agenzia europea per le frontiere in vista dell’adozione entro il maggio 2004 e nella prospettiva di rendere operativa detta Agenzia entro il 1º gennaio 2005; la proposta direttiva del Consiglio relativa all’obbligo dei vettori di comunicare i dati relativi alle persone trasportate, in vista di una rapida conclusione su detta misura; l’adozione del progetto di strategia per la cooperazione doganale e del relativo piano di lavoro entro il maggio 2004 e la successiva attuazione, con urgenza, di misure per combattere il terrorismo.
Il Consiglio europeo incarica inoltre il Consiglio di adottare entro il 2004 le proposte della Commissione sull'introduzione di dati biometrici nei passaporti e nei visti ai fini della messa a punto della specifica tecnica che la Commissione dovrà adottare entro lo stesso termine.
In vista dell'ulteriore sviluppo di tali misure, il Consiglio europeo incarica il Consiglio di portare avanti, sulla scorta di una proposta della Commissione, i lavori sulla creazione entro il 2005 di un sistema integrato per lo scambio di informazioni sui passaporti rubati o smarriti, utilizzando il SIS e la base dati dell'Interpol.
Invita inoltre la Commissione a presentare entro il giugno 2004 una proposta relativa ad un approccio comune dell'UE all'uso dei dati dei passeggeri ai fini della sicurezza delle frontiere e dei trasporti aerei e per altre finalità di contrasto.
Linee direttrici dell'UE per un'impostazione comune nella lotta contro il terrorismo
Il Consiglio europeo plaude alle linee direttrici dell'UE per un'impostazione comune nella lotta contro il terrorismo, che provano l’impegno dell’Unione a prevenire e a sopprimere il terrorismo in modo visibile e coerente.
Obiettivi strategici di un piano d’azione dell’UE riveduto per la lotta contro il terrorismo
Basandosi sulla cooperazione esistente, il Consiglio europeo ha approvato obiettivi strategici aggiornati al fine di potenziare il piano d’azione dell’UE per la lotta contro il terrorismo (riportato all'allegato I). Saranno attuati i seguenti obiettivi strategici ad alto livello: aumentare il consenso internazionale e potenziare gli sforzi internazionali per combattere il terrorismo; limitare l’accesso dei terroristi alle risorse finanziare e ad altre risorse economiche; massimizzare la capacità degli organi dell’UE e degli Stati membri in materia di individuazione, indagine e perseguimento dei terroristi e di prevenzione degli attentati terroristici; proteggere la sicurezza dei trasporti internazionali ed assicurare sistemi efficaci di controllo alle frontiere; potenziare la capacità degli Stati membri di far fronte alle conseguenze di un attentato terroristico; affrontare i fattori che favoriscono il sostegno al terrorismo e il reclutamento nelle sue fila; focalizzare le azioni nel quadro delle relazioni esterne dell’UE sui paesi terzi prioritari di cui occorre rafforzare la capacità antiterrorismo o l’impegno a combattere il terrorismo.
Il Consiglio europeo invita il Consiglio a completare l’adozione del piano d’azione riveduto e a riferire al Consiglio europeo di giugno.
Condivisione dell'intelligence
Nel sottolineare l'importanza di una cooperazione più efficiente in materia d'intelligence e di una migliore valutazione della minaccia, il Consiglio europeo esorta gli Stati membri a migliorare i meccanismi di cooperazione e a promuovere un'efficace collaborazione sistematica fra forze di polizia, servizi di sicurezza e servizi d'informazione. Occorre migliorare il flusso dell'intelligence verso l'Europol per quanto riguarda tutti gli aspetti del terrorismo. Inoltre, si svilupperanno ulteriormente le relazioni fra l'Europol e i servizi d'informazione.
Il Consiglio europeo approva le iniziative del Segretario Generale/Alto Rappresentante Solana volte a integrare nel Segretariato generale una capacità d'intelligence riguardo a tutti gli aspetti della minaccia terroristica al fine di indirizzare la politica dell'UE e lo invita a presentare proposte prima del Consiglio europeo di giugno.
Impedire il finanziamento del terrorismo
È convinzione del Consiglio europeo che si debba continuare con risolutezza l'azione di prevenzione sulle fonti di finanziamento delle organizzazioni terroristiche, interrompendo prontamente il flusso delle risorse finanziarie verso i gruppi terroristici e le entità e persone collegate, nel rispetto dello stato di diritto. A tal fine esso invita il Consiglio a individuare le misure che potranno migliorare l'efficienza e l'efficacia del meccanismo istituito per bloccare i beni dei terroristi e delle organizzazioni terroristiche e identificare i titolari e i reali beneficiari dei conti bancari, a prescindere dal luogo in cui risiedono.
Il Consiglio europeo esorta tutti gli Stati membri a ratificare e ad applicare pienamente la convenzione delle Nazioni Unite per la repressione del finanziamento del terrorismo del 1999 e ad attuare le disposizioni della risoluzione 1373 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite in materia di blocco dei beni.
S'invitano gli Stati membri ad intensificare la cooperazione fra le competenti autorità nazionali, le Unità d'informazione finanziaria e le istituzioni finanziarie del settore privato per favorire un migliore scambio d'informazioni sul finanziamento del terrorismo.
La Commissione vaglierà le possibilità di migliorare la regolamentazione e la trasparenza delle persone giuridiche, tra cui le associazioni di beneficenza e i sistemi alternativi per le rimesse di fondi, che possono essere sfruttati dai terroristi per finanziare le loro attività. L'UE proseguirà il dialogo con i paesi terzi su questo aspetto cruciale al fine di rafforzare la lotta al finanziamento del terrorismo.
Misure a difesa dei trasporti pubblici e della popolazione
Il Consiglio europeo chiede un rafforzamento della sicurezza di tutti i tipi di sistemi di trasporto, anche tramite il potenziamento del quadro giuridico e il miglioramento dei meccanismi di prevenzione. In particolare, s'invita la Commissione a presentare una proposta per il miglioramento delle misure di sicurezza nei porti e sulle navi.
Occorrono ulteriori iniziative per rafforzare la capacità degli Stati membri di far fronte alle conseguenze degli attentati contro la popolazione civile, anche nel campo della sicurezza sanitaria e della protezione civile, muovendo dagli attuali programmi dell'UE in materia di sicurezza sanitaria e CBRN.
La Commissione, il Consiglio e gli Stati membri - secondo i casi - dovrebbero elaborare politiche per rafforzare la protezione dei cittadini, dei servizi essenziali (quali reti idriche ed energetiche e comunicazioni) e dei sistemi di produzione (industrie agroalimentari e di trasformazione) e per instaurare meccanismi (vigilanza, allarme rapido, sistemi e procedure d'allarme e di risposta) atti a far fronte alle conseguenze degli attentati terroristici.
Cooperazione internazionale
Nel sostenere il ruolo fondamentale delle Nazioni Unite, il Consiglio europeo continuerà ad operare ai fini dell'adesione universale a tutte le risoluzioni del Consiglio di sicurezza dell'ONU e alle convenzioni delle Nazioni Unite sul terrorismo con i relativi protocolli, e ai fini della loro piena applicazione.
L'Unione europea opererà con le organizzazioni internazionali, regionali e subregionali, e al loro interno, per rafforzare la solidarietà internazionale nella lotta al terrorismo. L'Unione europea coopererà in modo effettivo e concreto con i paesi terzi nel combattere il terrorismo, in particolare mediante le seguenti misure: elaborazione di strategie di assistenza tecnica per agevolare i paesi terzi vulnerabili nel potenziare la capacità antiterrorismo affrontando le tematiche di lotta al terrorismo in tutti i pertinenti programmi di assistenza esterna finalizzati ad incentivare il buon governo e lo stato di diritto; identificazione dell'antiterrorismo come elemento fondamentale del dialogo politico con i paesi terzi a tutti i livelli, in particolare con i paesi che costituiscono una potenziale minaccia terroristica alla pace e sicurezza internazionali; l'Unione europea esaminerà e valuterà costantemente l'impegno dei vari paesi nella lotta contro il terrorismo. I risultati di quest'esercizio si rispecchieranno nelle relazioni dell'UE con i suddetti paesi. Il Consiglio europeo esorta ad utilizzare in modo ottimale tutte le risorse di polizia dell'UE schierate nei paesi terzi, anche nell'ambito della gestione delle crisi da parte dell'UE.
Cooperazione con gli USA e con i partner
Muovendo dallo spirito di solidarietà e cooperazione che ispira il piano d'azione dell'Unione europea per la lotta contro il terrorismo del 2001 il Consiglio europeo cercherà d'intensificare ulteriormente la cooperazione con gli USA e con gli altri partner per opporsi alla minaccia terroristica.
Istituzione della figura di coordinatore antiterrorismo
Il Consiglio europeo sottolinea la necessità di un approccio globale e strettamente coordinato per reagire alla minaccia che rappresenta il terrorismo.
Di conseguenza il Consiglio europeo approva l'istituzione della figura di coordinatore antiterrorismo. Il coordinatore, che opererà nell'ambito del Segretariato del Consiglio, coordinerà i lavori del Consiglio nella lotta al terrorismo e, tenendo debitamente conto delle competenze della Commissione, manterrà la supervisione di tutti gli strumenti di cui dispone l'Unione per poter riferire periodicamente al Consiglio e permettere l'efficace follow up delle decisioni del Consiglio.
Il Consiglio europeo plaude alla decisione del Segretario Generale/Alto Rappresentante Solana di nominare coordinatore antiterrorismo il signor Gijs de Vries.
Evoluzione futura
Il Consiglio europeo invita il Consiglio, in cooperazione con il Segretario Generale/Alto Rappresentante Solana e la Commissione, a riferire dettagliatamente al Consiglio europeo di giugno in merito allo stato di attuazione delle misure esposte.


Allegato I
OBIETTIVI STRATEGICI DELL'UNIONE EUROPEA PER LA LOTTA CONTRO IL TERRORISMO
(Piano d'azione riveduto)

Obiettivo 1:
Aumentare il consenso internazionale e potenziare gli sforzi internazionali per combattere il terrorismo ??
Sostenere il ruolo fondamentale delle Nazioni Unite in quanto foro di catalizzazione del consenso internazionale e di mobilitazione della comunità internazionale nel suo insieme, in particolare dell'Assemblea generale, e l'operato che il Consiglio di sicurezza esplica, tra l'altro, tramite il comitato antiterrorismo e il comitato delle sanzioni contro i talibani e Al Qaeda, come pure la sezione per la prevenzione del terrorismo dell'Ufficio delle Nazioni Unite per la lotta contro la droga e il crimine - Operare ai fini dell'adesione universale alle convenzioni delle Nazioni Unite sul terrorismo e della loro piena applicazione e ai fini di un accordo su una convenzione globale delle Nazioni Unite contro il terrorismo e su una convenzione globale delle Nazioni Unite per la repressione degli atti di terrorismo nucleare - Operare con le organizzazioni regionali ed internazionali, e al loro interno, per assicurare che esse apportino un reale contributo alla lotta al terrorismo secondo gli obblighi disposti dalle Nazioni Unite - Inserire clausole antiterrorismo efficaci in tutti gli accordi con paesi terzi.
Obiettivo 2:
Limitare l'accesso dei terroristi alle risorse finanziarie e ad altre risorse economiche - Assicurare l'efficacia delle procedure dell'UE per il blocco dei beni, comprese le risorse economiche non finanziarie, secondo gli obblighi disposti dalle Nazioni Unite e nel rispetto delle garanzie personali e dello stato di diritto - Instaurare collegamenti operativi e migliorare la cooperazione fra gli organismi competenti al fine di agevolare un migliore scambio d'informazioni sul finanziamento delle organizzazioni terroristiche - Definire e attuare una strategia dell'UE sulla repressione del finanziamento delle organizzazioni terroristiche, che comprenda una regolamentazione delle associazioni di beneficenza e sistemi alternativi per le rimesse di fondi - Lavorare in stretta cooperazione con il Gruppo di azione finanziaria internazionale (GAFI) su tutte le questioni inerenti al finanziamento del terrorismo e assicurare che il quadro giuridico UE sia consono alle otto raccomandazioni speciali sul finanziamento del terrorismo - Proseguire il dialogo politico e tecnico con i paesi terzi per rafforzare la lotta al finanziamento del terrorismo.
Obiettivo 3:
Massimizzare la capacità degli organi dell'UE e degli Stati membri in materia d'individuazione, indagine e perseguimento dei terroristi e di prevenzione degli attentati terroristici - Assicurare uno sfruttamento ottimale ed efficiente degli attuali organi dell'UE, quali Europol, Eurojust e Task Force dei capi di polizia - Migliorare i meccanismi di cooperazione per la condivisione delle conoscenze specialistiche sulle strategie di sicurezza di tipo protettivo, investigativo e preventivo fra forze di polizia e servizi di sicurezza - Promuovere un'efficace collaborazione sistematica fra gli Stati membri nello scambio di intelligence - Potenziare la capacità dei pertinenti organi dell'UE di predisporre valutazioni dell'intelligence su tutti gli aspetti della minaccia terroristica, assicurando un più stretto raccordo con la definizione delle politiche dell'UE - Operare per individuare, bloccare e smantellare i canali tramite cui i terroristi si riforniscono di armi.
Obiettivo 4:
Proteggere la sicurezza dei trasporti internazionali ed assicurare sistemi efficaci di controllo alle frontiere - Assicurare che le tematiche dell'antiterrorismo siano integrate nei lavori dei pertinenti organi dell'UE (trasporti, controlli di frontiera, documenti d'identità, ecc.) - Operare per elaborare ulteriori norme dell'UE in materia di sicurezza dei trasporti, coordinando i lavori con le organizzazioni internazionali del settore e con i paesi terzi - Elaborare ed attuare un approccio comune dell'UE in materia di scambi e di analisi delle informazioni relative ai passeggeri - Incoraggiare e appoggiare gli Stati non membri dell'UE affinché rispettino integralmente le norme dell'ICAO e dell'IMO - Potenziare le capacità di identificazione dei terroristi e di individuazione di ordigni, materiali o fondi destinati al terrorismo nei porti, negli aeroporti e alle frontiere terrestri - Rafforzare la protezione dei cittadini europei nei paesi terzi.
Obiettivo 5:
Potenziare la capacità dell'Unione europea e degli Stati membri di far fronte alle conseguenze di un attentato terroristico - Individuare i possibili settori di cooperazione più stretta in materia di gestione delle conseguenze con altre organizzazioni internazionali, tra cui la NATO, nell'ambito delle rispettive competenze - Assicurare la piena attuazione dei programmi dell'UE in materia di sicurezza sanitaria e CBRN - Elaborare strategie intese a migliorare la capacità degli Stati membri di comunicare con i cittadini in caso di attentato terroristico grave - Assicurare che alle vittime di reati terroristici siano dati sostegno e assistenza e proteggere le comunità minoritarie che rischiano di subire ritorsioni in caso di attentato grave.
Obiettivo 6:
Affrontare i fattori che favoriscono il sostegno al terrorismo e il reclutamento nelle sue fila - Individuare i fattori che favoriscono il reclutamento nella fila del terrorismo sia all'interno dell'UE che a livello internazionale ed elaborare una strategia a lungo termine per farvi fronte - Continuare ad analizzare i collegamenti tra il fondamentalismo religioso o politico, come pure i fattori socioeconomici e di altro tipo, e sostegno al terrorismo, muovendo dai lavori già intrapresi al riguardo e individuare risposte appropriate - Mettere meglio a frutto i programmi di assistenza esterna per affrontare i fattori che possono favorire il sostegno al terrorismo, e in particolare incentivare il buon governo e lo stato di diritto - Elaborare ed attuare una strategia intesa a promuovere la comprensione transculturale e interreligiosa tra l'Europa e il mondo islamico.
Obiettivo 7:
Focalizzare le azioni nel quadro delle relazioni esterne dell'UE sui paesi terzi prioritari di cui occorre rafforzare la capacità antiterrorismo o l'impegno a combattere il terrorismo - Estendere il ruolo del centro di situazione nella valutazione della minaccia per consentire ai gruppi di lavoro di concentrarsi sull'elaborazione strategica - Sviluppare le capacità di analisi e di valutazione delle attività dei paesi terzi in materia di antiterrorismo - Elaborare strategie di assistenza tecnica per potenziare la capacità antiterrorismo dei paesi prioritari di concerto con altre organizzazioni internazionali e Stati donatori - Assicurare che le questioni specifiche dell'antiterrorismo, compreso l'inserimento in tutti gli accordi di efficaci clausole antiterrorismo che rispecchino le priorità del piano d'azione riveduto, siano uno degli elementi fondamentali delle relazioni dell'UE a tutti i livelli con i paesi prioritari - Integrare gli obiettivi di lotta al terrorismo nei lavori dei gruppi geografici e nei programmi di assistenza esterna.


DICHIARAZIONE SULLA SOLIDARIETÀ CONTRO IL TERRORISMO

I Capi di Stato o di Governo degli Stati membri dell'Unione europea e degli Stati che aderiranno all'Unione il 1° maggio dichiarano la loro ferma intenzione seguente. Ispirandosi alla clausola di solidarietà contemplata nell'articolo 42 del progetto di trattato che istituisce una Costituzione per l'Europa, gli Stati membri e gli Stati aderenti agiscono quindi congiuntamente in uno spirito solidale qualora uno di essi sia oggetto di un attacco terroristico. Essi mobilitano tutti gli strumenti di cui dispongono, inclusi i mezzi militari per -prevenire la minaccia terroristica sul territorio di uno di essi; -proteggere le istituzioni democratiche e la popolazione civile da un eventuale attacco terroristico; -prestare assistenza a uno Stato membro o a uno Stato aderente sul suo territorio, a richiesta delle sue autorità politiche, in caso di attacco terroristico.
Spetta a ciascuno Stato membro o Stato aderente all'Unione scegliere i mezzi più appropriati per assolvere a questo impegno di solidarietà nei confronti dello Stato colpito.


(1) Giudice dell’udienza preliminare di Milano nel caso del tunisino Mekki Ben Imed Zarkaoui, il 16 settembre 2003.
(2) Giudice dell’udienza preliminare di Milano nel disporre la cattura dei presunti Kamikaze di Al Ansar, il 25 novembre 2003.
(3) Di notevole rilievo è, in proposito, quanto stabilito dalla Risoluzione 1373 del 2001 del Consiglio di Sicurezza, che impone agli Stati membri non solo di congelare i beni dei terroristi, ma anche di rifiutare ogni forma di sostegno ad individui ed organizzazioni terroristiche, compresa l’assicurazione di rifugio a loro favore. Essa contempla, inoltre, l’obbligo di assicurare alla giustizia tali soggetti, di mettere in atto una maggior
cooperazione giudiziaria e di polizia e di prevenire i movimenti dei terroristi grazie ad un accresciuto controllo alle frontiere. Quanto ai soggetti , la Risoluzione non contiene, a differenza delle precedenti, dirette contro bin Laden, al-Qaeda ed organizzazioni ad essa collegate, riferimenti territoriali o ad una specifica organizzazione: al contrario, essa è rivolta a contrastare, genericamente, le azioni di ‘’terroristi’’ e ‘’gruppi terroristici’.
(4) Emessa dal Consiglio dell’Unione Europea il 13 giugno 2002 (n. 2002/475/ GAI).
Pubblicata su questa Rivista, n. 24/2002 (a cura della Redazione).
(5) ‘’L’azione comune nel settore della cooperazione giudiziaria in materia penale comprende:…. e) la progressiva adozione di misure per la fissazione di norme minime relative agli elementi costitutivi dei reati ed alle sanzioni, per quanto riguarda la criminalità organizzata, il terrorismo ed il traffico illecito di stupefacenti’’. Altrettanto è previsto dal paragrafo 46 del Piano d’Azione del Consiglio e della Commissione relativo alle modalità ottimali di attuazione delle disposizioni del trattato di Amsterdam relative alla creazione di uno spazio di libertà, di sicurezza e di giustizia.
(6) In base al quale gli strumenti da utilizzare per il ravvicinamento delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri sono appunto le decisioni quadro.
(7) Art. 34, 2, lettera b) del TUE.
(8) La stessa tecnica fu adottata nella Convenzione del Consiglio d’Europa per la repressione del terrorismo (Strasburgo, 27 gennaio 1977).
(9) Interessante è la definizione di terrorismo offerta dagli Stati Uniti: ‘’Il termine terrorismo significa violenza premeditata e politicamente motivata perpetrata contro obiettivi non combattenti da parte di gruppi subnazionali o agenti clandestini, usualmente diretta ad influenzare il pubblico’’. È noto, peraltro, che gli Stati Uniti risolvono il problema della definizione di terrorista o organizzazione terroristica attraverso la periodica compilazione di liste nominative di terroristi, valide anche ai fini penali.
(10) ‘’Ciascuno Stato membro adotta le misure necessarie affinchè siano considerati reati terroristici gli atti intenzionali di cui alle lettere da a) a i) definiti reati in base al diritto nazionale che, per loro natura o contesto, possono arrecare grave danno ad un paese o ad una organizzazione internazionale, quando sono commessi al fine di:
intimidire gravemente la popolazione,o
costringere indebitamente i poteri pubblici o un’organizzazione internazionale a compiere o astenersi dal compiere un qualsiasi atto, o
destabilizzare gravemente o distruggere le strutture politiche fondamentali, costituzionali , economiche o sociali di un paese o un’organizzazione internazionale: …’’
(11) Segnatamente all’articolo 2.1, lettera b) della Convenzione Internazionale per la soppressione del finanziamento del terrorismo delle Nazioni Unite ( New York, 1999) , che fa riferimento ad ‘’…ogni atto…la cui finalità per natura o contesto, sia quella di intimidire una popolazione o di costringere un governo o una organizzazione internazionale a fare o ad omettere qualche atto...’’.
(12) L’Ufficio Europeo di Polizia è stato costituito con atto del Consiglio del 26 giugno 1995, con cui fu adottata la relativa convenzione.
(13) Attraverso il quale l’Unione Europea ha dato attuazione alle misure di tipo economico – congelamento dei beni, embargo sulle armi ed assistenza militare, divieto di concessione di visti di immigrazione- contenute nella Risoluzione 1373.
Le misure di tipo penale contenute nella Risoluzione 1373 – inesistenti nelle Risoluzioni 1267,1333 e 1390, – sono state, invece, attuate con Posizioni comuni, Decisioni quadro. L’Italia ha dato attuazione ai Regolamenti comunitari attraverso le leggi 27 novembre 2001 n. 415 e 14 dicembre 2001, n. 431 ed alle disposizioni di tipo penale contenute nella Risoluzione 1373 e nelle Posizioni comuni che non erano attuate dalla legislazione allora vigente, attraverso la legge 15 dicembre 2001, n. 438.

(14)Attraverso il quale L’Unione Europea ha dato attuazione alle misure – congelamento dei beni, embargo sulle armi ed assistenza militare, divieto di concessione di visti di immigrazione- contenute nelle Risoluzioni n. 1267,1333 e 1390. L’Italia ha, a sua volta, dato attuazione ai Regolamenti con le leggi 27 novembre 2001, n. 415 e 14 dicembre 2001, n. 431.
(15) Non è un caso che nelle Convenzioni delle Nazioni Unite contro la presa di ostaggi e contro il dirottamento aerei non vi sia cenno alla finalità politica.
(16) A proposito di condotte terroristiche tipiche , va ricordato come nella Decisione quadro del Consiglio dell’Unione Europea non furono incluse alcune condotte come il sabotaggio, frode, razzismo e xenofobia, perché – giustamente – non furono ritenute tipiche, ma non mancarono Stati che lo proposero.
(17) Va ricordato che il riferimento – in entrambe le accezioni – è stato ritenuto improprio dalla maggior parte degli internazionalisti: il fatto che gli stati possano compiere atti illegittimi sotto il diritto internazionale non ne fa automaticamente dei terroristi.
(18) Nella specie si trattava della presa in ostaggio per ben due anni, da parte di terroristi iraniani, di cittadini americani. Il raid fu effettuato cinque anni dopo il rilascio.
(19) Si tratta della Risoluzione 748/1992 del Consiglio di Sicurezza che impose sanzioni contro la Libia per la connessione con attività terroristiche e per il rifiuto di estradare due cittadini libici accusati di aver partecipato nel 1988 all’attacco contro il volo Pan Am 103 sopra Lockerbie, Scozia.
(20) ‘’Gli Stati debbono astenersi dall’uso della forza contro l’integrità territoriale e l’indipendenza politica di altri stati’’.
(21) In particolare la Risoluzione 1373 specifica il principio della ingiustificabilità sotto i profili del diniego di asilo a chi ha pianificato, partecipato o facilitato atti terroristici e del divieto di rifiuto di richieste di estradizione per reato politico, principi riflessi nel progetto di convenzione.
(22) Le Nazioni Unite cominciarono ad elaborare convenzioni contro il terrorismo nei primi anni settanta, su iniziativa dei paesi del G7, ed in funzione di contrasto ai movimenti di liberazione nazionale, e segnatamente all’OLP. All’epoca i fenomeni più clamorosi erano i dirottamenti aerei e la presa d’ostaggi. Le prime intese di coordinamento dei paesi occidentali furono, pertanto, dirette a contrastare queste ed altre condotte, che in quegli anni apparivano tipiche del terrorismo internazionale. Ne risultarono otto convenzioni settoriali, presto integrate da due protocolli, tesi a colmare le lacune delle prime. Le convenzioni settoriali erano piuttosto scarne, nei settori della prevenzione e della cooperazione di polizia e giudiziaria, anche se era già contemplato l’importante obbligo dell’aut dedere aut judicare.
A partire dal 1977 una nuova generazione di convenzioni vide la luce. Il terrorismo internazionale non si limitava ormai più a dirottare aerei, ma colpiva in modo generalizzato obiettivi civili, con armi micidiali:
Dar el Salaam, Nairobi, Irlanda del Nord, Colombo, Manchester, Tokyo.
Il terrorismo a mezzo esplosivi ed il finanziamento del terrorismo divennero la principale preoccupazione della comunità internazionale. Ciò indusse le Nazioni Unite ad elaborare due nuove convenzioni, nelle quali per la prima volta la parola ‘’terrorismo ‘’ compariva nel titolo, anche se non nel corpo dello strumento. Ci si riferisce alla Convenzione per la soppressione del terrorismo a mezzo bombe del 1997 ed alla Convenzione contro il finanziamento del terrorismo, proposta dal Ministro degli esteri francese Hubert Vedrine ed adottata nel 1999.
La convenzione del 1997 costruì sulle precedenti e le sviluppò. Fu estesa sensibilmente la sezione dedicata alla cooperazione giudiziaria e di polizia non più soltanto l’imposizione del principio aut dedere aut judicare, ma disposizioni dettagliate in materia di rogatorie ed estradizione. Per la prima volta fu stabilita un’eccezione al tradizionale divieto d’estradizione per reato politico: l’attacco ai civili, si disse, non può essere in alcun modo giustificato. Quanto alla cooperazione di polizia, la convenzione introdusse la previsione dello scambio di informazioni, in particolare sui metodi di intercettazione degli esplosivi. Alto grado di specificità fu raggiunto altresì nel settore delle misure di prevenzione.
La Convenzione contro il finanziamento del terrorismo si è rivelata, anche a posteriori, strumento fondamentale. Essa è fortemente caratterizzata sul piano preventivo, tesa com’è all’interruzione dei flussi finanziari e, pertanto, al controllo del livello organizzativo del gruppo terroristico.
L’obbligo di criminalizzazione investe il finanziamento intenzionale del terrorismo, tanto diretto quanto indiretto – punto cruciale – ed indipendentemente dal compimento, in concreto, di uno specifico atto terroristico.
(23) Art. 2.1.a) ‘’…quando la finalità dell’atto e quella di intimidire una popolazione, o di costringere un governo o una organizzazione internazionale a fare o ad omettere qualche cosa’’.
(24) Il progetto di convenzione si deve all’India, che lo depositò presso il Segretariato delle Nazioni Unite nel 1999. Pubblicato in stralcio in questa Rivista, n. 20/2001 (a cura della Redazione).
Esso mira a fornire una cornice giuridica onnicomprensiva di tutte le condotte terroristiche, anche non rientranti nelle precedenti convenzioni settoriali. Il progetto ha un amplissimo campo di applicazione, con condotta a fattispecie ‘aperta’: è presa in considerazione la condotta di chi, al fine di ‘’intimidire una popolazione, o di costringere un governo o una organizzazione internazionale a fare o ad omettere una qualsiasi azione”, causa morte o ferimento grave a persone, ovvero danneggia proprietà pubbliche o private. Da un punto di vista tecnico, una convenzione contro il terrorismo di carattere generale – non diretta, pertanto, a contrastare una specifica modalità operativa terroristica – è di indubbia utilità. Una convenzione globale a fattispecie aperta ha, infatti, il considerevole vantaggio di prestarsi a ricomprendere strumenti o modalità terroristiche nuove e future e di potersi adattare ad inedite formule operative (come ad esempio il terrorismo batteriologico o chimico). Proprio questa ‘duttilità’ della convenzione globale è l’elemento che ha indotto, dopo molte esitazioni, i paesi occidentali a sostenerne l’elaborazione.
(25) Primo Protocollo Addizionale alle Convenzioni di Ginevra del 12 Agosto 1949, relativo alla protezione delle vittime dei conflitti armati internazionali, firmato a Ginevra l’8 giugno 1977, entrato in vigore il 7 dicembre 1978.
(26) Secondo Protocollo addizionale alle Convenzioni di Ginevra del 12 Agosto 1949, relativo alla protezione delle vittime dei conflitti armati non internazionali, firmato a Ginevra l’8 giugno 1977, entrato in vigore il 7 dicembre 1978. Questo Protocollo è, peraltro, scarsamente ratificato.
(27) Adottato a Roma il 17 luglio 1998.
(28) Va ricordato qui che anche il progetto di Convenzione nucleare contro il terrorismo, proposto dalla Federazione Russa, è bloccata sugli stessi temi che ostacolano la convenzione generale (l’art. 4, analogo all’art. 18).
(29) Quale quello contenuto nell’articolo 19 della Convenzione per la repressione di attentati terroristici dinamitardi: “Nulla nella presente convenzione inciderà su altri diritti, doveri e responsabilità degli stati e dei singoli previsti dal diritto internazionale, e in particolare sulle finalità ed i principi dello statuto delle Nazioni Unite e del diritto internazionale umanitario

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